BASILICA NOVA, POI SAN GIOVANNI

Nell'area che si estende tra la cappella di S. Maria degli Angeli, la basilica di S. Felice, la parrocchiale e la chiesa di S. Giovanni si trovano i ruderi dell'atrio e delle navate della basilica costruita da Paolino che la chiamò nova per distinguerla dalla vetus (vecchia), già esistente.

Eretta tra 401e 403 a nord dell'aula ad corpus, la nuova basilica non era rivolta ad oriente, ma verso il sepolcro di S. Felice. Per collegare i due edifici Paolino fece abbattere l'abside dell'aula, al posto della quale eresse un triforium, recante su ogni lato tre tituli (cioè iscrizioni in versi); questa triplice apertura consentiva l'accesso ad un atrio, nel quale collocò zampillanti fontane e un cantharus con copertura a baldacchino.

Dall'atrio, attraverso un altro triforium anch'esso sormontato da iscrizioni, si entrava nella basilica nova che aveva le navate separate da colonne: quella centrale, con il soffitto a cassettoni, era affrescata con scene del Vecchio Testamento, illustrate da tituli. Ai lati delle navate laterali si aprivano delle cappelle destinate alla preghiera e alla sepoltura dei religiosi e dei loro

familiari: sugli ingressi Paolino fece apporre delle iscrizioni che non ci ha tramandato.

Il presbiterio aveva l'abside trichora rivestita di marmi nel pavimento e nelle pareti. Nella conca mediana una cornice in stucco accoglieva il titulus che faceva riferimento alle reliquie deposte da Paolino nel sottostante altare; un'altra iscrizione metrica illustrava il mosaico del catino. Come suggerivano altri tituli, l'absidiola destra era riservata alla conservazione degli arredi sacri, mentre la sinistra custodiva le sacre scritture.

Quanto alla suppellettile liturgica destinata al nuovo edificio, Paolino ricorda la preziosa croce sospesa davanti all'altare, i candelabri applicati alle colonne e le lampade fissate con catenelle bronzee al soffitto della navata centrale.

Danneggiato da un'alluvione agli inizi del VI secolo, l'edificio venne ristrutturato e utilizzato a scopo funerario tra VI e VII secolo. Nell'VIII secolo, a seguito del crollo della basilica, la trichora e parte della navata centrale furono trasformate in un edificio di culto più piccolo, riccamente affrescato. La chiesa, dedicata a S. Giovanni, venne ulteriormente rimpicciolita nel XIV secolo, quando facciata e arco di trionfo furono ricostruiti in forme gotiche, mentre pareti e presbiterio furono decorati da un nuovo ciclo di affreschi.

Della basilica nova rimasero in vista solo la colonna orientale dell'arco di trionfo (murata nell'arcone medievale di S. Giovanni) e quattro fusti pertinenti ai colonnati che separavano la navata centrale dalle laterali, due inglobati nelle pareti della chiesa e due emergenti dal terreno antistante l'edificio.

Il ricordo della basilica nova venne, tuttavia, alimentato dagli scritti di Paolino, soprattutto quando la prima edizione integrale delle sue opere, apparsa a Parigi nel 1516, suscitò un rinnovato interesse per l'attività del santo-poeta. Intanto, però, si era già persa la cognizione dell'esatta collocazione della nova, dal momento che nel 1514 l’erudito nolano Ambrogio Leone sostenne, addirittura, che essa fosse situata non a Cimitile, ma a Nola. Dagli inizi del XVII secolo alla metà del Settecento, gli studiosi, invece, identificarono l'edificio paoliniano con la basilica di S. Felice a Cimitile, riscontrando erroneamente analogie tra quest'ultima e le strutture della nova descritte da Paolino. Solo alla fine del Settecento il sacerdote cimitilese Andrea Ambrosini intuì correttamente che i resti dell'edificio paoliniano erano inglobati nella chiesa di S. Giovanni.

La felice intuizione dell'erudito ebbe, tuttavia, scarsa risonanza; nell'Ottocento, infatti, gli studiosi, parafrasando le descrizioni di Paolino, si limitarono ad affermare che della basilica nova non rimaneva nulla o ne proposero fantasiose ricostruzioni. La necessità di effettuare scavi per venire a capo dei problemi legati alla conoscenza della basilica nova fu segnalata più volte a partire dalla fine dell'Ottocento.

L'occasione propizia, però, si presentò solo nel 1931, quando in occasione del XV centenario della morte di Paolino, il soprintendente Gino Chierici avviò il restauro della chiesa di S. Giovanni e programmò lo scavo della basilica nova che venne effettuato tra il 1933 e il 1934.

La visita alla basilica nova prende avvio dall'area dietro alla cappella Sancta Sanctorum, dove sono conservati i resti dell'abside dell'aula ad corpus demolita da Paolino per mettere in comunicazione il nuovo edificio con quello che ospitava la tomba di S. Felice. In questa zona venne eretto un atrio costituito sui lati lunghi da due triforia distanti tra loro 6,60 m: il primo è tuttora visibile nella parete settentrionale della basilica di S. Felice (occupato in parte dalla cappella Sancta Sanctorum), mentre dell'altro (che costituiva la facciata della basilica nova) rimangono resti della soglia e dei piedistalli delle colonne.

Dei colonnati della basilica rimangono due fusti ben conservati e alcune basi. Presso le due colonne integre sono visibili alcune delle tombe in muratura di VI-VII secolo scavate nel 1988. Sulla sinistra si riconoscono i ruderi di una cappella laterale, a pianta ovale, e i resti di un edificio porticato (parzialmente sottoposto alla cappella di Santa Maria degli Angeli).

Più avanti, a sinistra della chiesa di S. Giovanni (che ingloba l'abside trichora della nova), un'ampia copertura protegge un tratto ben conservato della navata sinistra della basilica. Di particolare interesse è l'ambiente ricavato a ridosso dell'absidiola: le pareti sono affrescate con un raffinato motivo policromo a squame bipartite.

Entriamo dunque nella chiesa di S. Giovanni dalla caratteristica facciata a doppio spiovente. Il portale, simile a quello della basilica di S. Felice, è sormontato da una graziosa lunetta a sesto acuto, nella quale un tempo era dipinto S. Giovanni Battista (XIV secolo). All'interno, a sinistra dell'ingresso, sono murati due spezzoni di colonne e una lastra marmorea con due fori. In passato si credeva che costituissero l'imboccatura di un 'pozzo' pieno di sangue di martiri.

Nella parete sinistra, dotata di due monofore, è inglobata una colonna con base appartenente al colonnato che divideva la navata centrale della basilica nova dalla navata sinistra.

Rialzata di circa 1 m è la splendida abside trichora che, prima della costruzione della chiesa di S. Giovanni, chiudeva la navata centrale della basilica nova. Dell'originaria struttura rimangono alcuni laterizi d'imposta dell'arco trionfale (sostenuto da due colonne con capitelli corinzi), la parte inferiore della conca mediana e le due absidiole laterali. Il catino centrale, in gran parte ricostruito negli anni Cinquanta (paramento intonacato), conserva, in alto a destra, pochi resti del celebre mosaico fatto realizzare da Paolino agli inizi del V secolo. Dalla lettera 32, indirizzata all'amico Sulpicio Severo, sappiamo che il mosaico raffigurava una grande croce gemmata, circondata dal cielo stellato e da dodici colombe; in basso, sul monte paradisiaco con i quattro fiumi, era l'agnus Dei, verso il quale convergevano due teorie di sei agnelli.

Parzialmente conservati sono il rivestimento della parete e il pavimento dell'abside, realizzati con pregiati marmi (porfido verde e rosso, rosso antico, pavonazzetto, giallo antico). Nella parte inferiore della conca centrale, su uno zoccolo costituito da lastre di marmo bianco, quattro pannelli con rombo centrale e listelli perimetrali si alternano ad altrettanti riquadri con ottagoni.

Le cinque formelle rimaste dell'originaria pavimentazione in opus sectile accostano due diversi motivi geometrico-floreali.

Nell'absidiola destra sono visibili tre affreschi sovrapposti. Allo strato più antico (databile tra VI e X secolo) appartiene un rombo nero, con cerchio centrale giallo, visibile in alto, a sinistra della finestra.

Ai secoli XI-XII, invece, si datano le quattro scene a sinistra della finestra nonché i santi vescovi benedicenti raffigurati a destra. Le ridotte dimensioni dei personaggi che ricorrono nei quattro riquadri rispetto alle imponenti figure dei vescovi danno luogo ad apparenti diversità stilistiche, ma in realtà entrambe le raffigurazioni appartengono alla stessa mano.

Particolare attenzione merita il riquadro superiore a sinistra della finestra, nel quale si riconoscono due personaggi affrontati: a destra una figura maschile con barba appuntita, tunica e mantello, regge con le mani velate una tenaglia; alle sue spalle compare un volto maschile. Un analogo velo bianco ricade dalle mani del personaggio privo di volto, sulla sinistra, che indossa un'ampia tunica bianca e calzari neri. In basso a destra, in secondo piano rispetto al velo e in primo rispetto all'uomo barbuto con tenaglia, sono raffigurati due personaggi maschili reclinati; quello in primo piano ha il braccio sinistro alzato e la mano destra sul petto. La scena, considerata la frammentarietà, appare di difficile interpretazione; la presenza del personaggio con le tenaglie potrebbe, tuttavia, costituire un riferimento alla schiodazione di Cristo dalla croce.

Lo strato più recente di affreschi (XIV secolo) include alcuni santi e la Vergine in trono col Bambino, oltre a Cristo effigiato nella mandorla al centro del catino. I personaggi, dai panneggi piuttosto pesanti, hanno le aureole graffite. Nello stesso ciclo pittorico rientrano gli affreschi raffiguranti tre santi e la Madonna Regina con il Bambino, parzialmente conservati sulla parete destra della chiesa, nella quale si apre una stretta monofora. Nella parte inferiore della parete si riconosce un pilastro in tufo appartenente ai lavori di ricostruzione della basilica nova che seguirono l'alluvione degli inizi del VI secolo.

Uscendo dalla chiesa, sulla sinistra si apre uno spazio (corrisponde alla navata destra della basilica nova), dal quale si accede ad un ambiente ottagonale, protetto da una tettoia. Sebbene finora non siano state individuate la vasca e la condotta d'acqua, si tratta molto probabilmente di un battistero. Le pareti interne, realizzate con filari di tegole e tufelli, erano decorate da un rivestimento in opus sectile. Anche il pavimento, come indicano le impronte rimaste nella malta, era costituito da una scacchiera di quadrati di marmo.

Testo del prof. Carlo Ebanista