BASILICA DI SAN FELICE

Di fronte alla cappella dei Ss. Martiri si trova l'edificio principale del santuario, dove si conserva la tomba che accolse il corpo di S. Felice. Prima di passare alla descrizione della basilica, è utile soffermarsi brevemente sulle vicende che l'hanno interessata nel corso dei secoli. La basilica, con orientamento est-ovest, è costituita da strutture di epoche differenti: campanile, atrio d'ingresso, due absidi contrapposte, edicola mosaicata, cappella Sancta Sanctorum, navate.

La complessa stratificazione ha avuto origine alla fine del III secolo, quando S. Felice fu sepolto in una semplice tomba in laterizi dotata di cuscino funebre e incavo per l'appoggio della testa. Agli inizi del IV secolo, il venerato sepolcro, insieme a due adiacenti tombe (appartenute forse ai vescovi Massimo e Quinto), venne racchiuso in un piccolo mausoleo quadrato e protetto da una lastra di marmo decorata dall'immagine del Buon Pastore.

Il mausoleo, insieme ad altri due adiacenti ambienti funerari, fu demolito dopo il 313 per costruire il primitivo edificio di culto (aula ad corpus) che aveva l'abside a nord e l'ingresso a sud, in direzione della città di Nola.

Intorno alla metà del IV secolo, ad est dell'aula fu realizzata una basilica a tre navate con abside ad est (basilica orientale).

Tra il 401 e il 403, Paolino di Nola, demolita l'abside dell'aula ad corpus, costruì una triplice apertura (triforium) che consentiva l'accesso all'atrio di un nuovo e più grande edificio di culto che egli chiamò basilica nova. Provvide, altresì, a decorare adeguatamente l'aula ad corpus, dove la tomba di S. Felice venne delimitata da transenne marmoree con massime bibliche.

Dopo la morte di Paolino, avvenuta il 22 giugno 431, il recinto di transenne fu prima ampliato verso sud per includere il suo sepolcro e quindi trasformato in un grande altare. Tra il 484 e il 523, intorno alle tombe di Felice e Paolino, venne costruita l'edicola mosaicata. Si tratta di una struttura costituita da quattro pareti in laterizi, ciascuna delle quali presenta tre archi sostenuti da colonne e capitelli di reimpiego. Forse nello stesso periodo, ma comunque successivamente all'alluvione degli inizi del VI secolo, ad ovest dell'aula ad corpus fu eretta la grande abside occidentale, sui resti di tre mausolei funerari. Nella basilica, ma naturalmente ad una distanza sempre maggiore dalla tomba di S. Felice, continuarono ad essere sepolti i vescovi di Nola.

Tra VIII e IX secolo, a seguito del crollo della basilica nova, il triforium paoliniano venne murato e nell'arco centrale fu edificata la cappella Sancta Sanctorum. Pressappoco nello stesso periodo l'altare sulle tombe di Felice e Paolino venne violato dai Longobardi. Mentre il corpo di S. Paolino fu traslato a Benevento, le ossa di S. Felice vennero in parte trasferite all'interno del ricostruito altare e in parte in un reliquario creato alle spalle dell'altare.

Tra la fine del IX secolo e gli inizi del successivo, sul lato meridionale della basilica di S. Felice il vescovo Leone III costruì un protiro che nel Trecento venne inglobato nel nuovo atrio di ingresso.

Nel medioevo la basilica venne interessata da interventi strutturali e decorativi commissionati dal clero e dalla nobiltà locale. Oltre a numerosi affreschi, vennero realizzati nuovi altari e il pulpito.

Nel 1631 l'eruzione del Vesuvio danneggiò il presbiterio orientale e la navata destra della basilica, men- tre la sinistra crollò alla fine del Sei- cento, ma venne ricostruita entro gli inizi del secolo successivo. In quell'occasione il principe Girolamo II Albertini ampliò l'edificio verso est e lo arricchì di stucchi e dipinti.

Alla fine del Settecento le navate e il presbiterio orientale della basilica furono in massima parte abbattuti per costruire la nuova chiesa parrocchiale.

Ulteriori pesanti demolizioni hanno interessato, negli anni Trenta e Cinquanta del XX secolo, l'edicola mosaicata e l'abside occidentale.

a) facciata e campanile

La facciata è dominata dalla mole del campanile costituito da quattro corpi di fabbrica sovrapposti che si restringono dal basso verso l'alto. Illuminato da monofore e terminante con una singolare copertura piramidale, il campanile ospitava al primo piano una cappella con altare. L'epigrafe murata alla base ne attribuisce la fondazione a S. Paolino, ma la credenza, riconducibile alla tradizione che egli sia stato l'inventore delle campane, non trova riscontro nei dati archeologici. Il campanile venne, infatti, costruito tra la fine del XII secolo e la prima metà del successivo. La credenza che Paolino sia l’inventore della campane si sviluppò tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento.

Un protiro in tufo, costruito nell'Ottocento reimpiegando due colonne di granito, è addossato al portale della basilica. Quest’ultimo riutilizza come architrave un pilastri- no decorato da un tralcio fogliato (IX-X secolo). Il pilastrino è sostenuto da due mensole in tufo e sormontato da una lunetta a sesto acuto, in cui si nota un affresco del XV secolo che raffigura la Pietà con S. Giovanni Battista. L'epigrafe marmorea murata nella lunetta attesta che la basilica fu cattedrale di Nola sino alla fine del XIV secolo, secondo la discutibile ipotesi avanzata dal preposito Guadagni nella seconda metà del Seicento.

Sulla sinistra una ripida scala conduce ad un mausoleo seminterrato (non accessibile al pubblico) che appartiene alla necropoli di II-III se- colo d.C. Diviso in due settori e illuminato da due monofore, il mausoleo accolse numerose sepolture, come attestano i segni lasciati dalle coperture delle tombe sino quasi

all’imposta della volta.

Nell'epigrafe marmorea murata al di sopra dell'ingresso, il mausoleo è ricordato come 'grotta e carcere di S. Alcalà', in rapporto alla credenza, sviluppatasi forse tra la fine del Cinquecento e la prima metà del secolo successivo, che vi fu rinchiusa S. Archelaa insieme alle sante Tecla e Susanna. Connesso al culto delle sante è l’altare in muratura esistente nel settore nord del mausoleo.

b) atrio d'ingresso

Pavimentato con lastre di marmo, l'atrio è coperto da una volta a botte. La parete sinistra è ricoperta da due strati di affreschi. Il più antico, databile tra la fine del XII secolo e la prima metà del XIII, raffigura l'albero di Jesse: il fusto, eseguito con pennellate di giallo e rosso, termina in alto con una mandorla, nella quale si riconosce la figura di un re (forse Davide o Salomone) seduto sul dorso di due leoni; ai lati della mandorla compaiono i profeti Geremia e Daniele.

Il secondo strato, risalente alla seconda metà del Duecento, è individuato dalla parte inferiore dell'albero di Jesse (delineata in verde e giallo), oltre che dai santi Giorgio, Giovanni Battista e Nicola. Con la mano sinistra S. Nicola tiene per i capelli un piccolo personaggio che reca nella mano destra una coppa e nella sinistra un boccale. Si tratta del giovane (Adeodato o Basilio, a seconda delle fonti) che, catturato da un re pagano e divenuto suo coppiere, si lamentò del proprio triste destino invocando il santo, il quale lo afferrò per i capelli e lo riportò a casa.

Sul lato destro dell'atrio un arcosolio accoglie un sarcofago marmoreo con il mito di Persefone (III secolo d.C.). Degni di attenzione risultano gli affreschi (prima metà del XIII secolo) che decorano l'intradosso e la lunetta dell'arcosolio.

Nel sottarco è raffigurato l'agnus Dei tra due angeli turiferari. In basso a sinistra si riconosce una processione di chierici che continua nella parte sinistra della lunetta; qui compaiono un ottavo chierico e il vescovo che ha le braccia protese in avanti nell'atto di incensare il cadavere steso sul catafalco. La parte superiore della lunetta è dominata dalla rappresentazione di Cristo tra la Madonna e S. Giovanni Evangelista (Deesis).

Il defunto, molto probabilmente, è un membro della famiglia del Giudice, appartenente alla nobiltà nolana. La scena, eseguita forse dal- lo stesso artista che dipinse la parte inferiore dell'albero di Jesse sulla parete opposta dell'atrio, raffigura un particolare momento del rito dell'assoluzione o della benedizione della salma: la prassi liturgica prevedeva, infatti, l'intervento di chierici con ceri accesi, la cui luce alludeva alla presenza divina.

Prima di entrare nel presbiterio si oltrepassa il protiro fatto costruire dal vescovo Leone III tra la fine del IX secolo e gli inizi del successivo. Della struttura, che era simile al protiro dei Ss. Martiri, rimane la volta a botte e una mensola marmorea decorata da una foglia d'acanto e da uno stelo con rosetta. In origine la mensola era sorretta dal pilastrino con tralcio di vite che è sistemato nei pressi. L'altro pilastrino che sosteneva la seconda mensola (oggi scomparsa) funge, come già detto, da architrave del portale d'ingresso della basilica.

L'intradosso del protiro era decorato da un affresco articolato in tre riquadri: sul lato sinistro si riconoscono il leone e il toro (simboli degli evangelisti Marco e Luca), al centro una mandorla con l'immagine di Cristo, a destra tracce dei simboli degli evangelisti Matteo e Giovanni. Poco più in basso compare un riquadro con due volti di dimensioni differenti; il più piccolo (a sinistra) è forse il ritratto del vescovo Leone III. Ancora più in basso è collocata un'acquasantiera in marmi commessi risalente al XVIII secolo.

Sulla parete opposta è dipinta una quattrocentesca Madonna col Bambino. Lacunoso nella parte inferiore, l'affresco è inquadrato da una cornice costituita da specchiature rettangolari con tralci. Negli angoli superiori due angeli reggono un drappo rosso che fa da sfondo alla raffigurazione.

c) presbiterio occidentale

Giunti nel presbiterio, nell'angolo a destra, dietro un'inferriata, s'in- travede un tratto della parete esterna dell'aula ad corpus. Sull'intonaco rosso si riconoscono i graffiti tracciati dai pellegrini tra IV e V secolo: oltre a frasi bene auguranti, sono presenti formule acclamatorie, espressioni di scioglimento di voti e semplici nomi. Le modeste capacità scrittorie fanno ritenere che, in accordo con la testimonianza di Paolino di Nola, doveva trattarsi per lo più di rozzi e incolti contadini, molti dei quali appartenenti alla comunità locale.

Sulla sinistra del presbiterio una bassa recinzione protegge i resti di tre mausolei della necropoli (II-III secolo d.C.) delimitati da muri in laterizi e tufelli: si notano le soglie degli ingressi e numerose tombe terragne disposte su più livelli. Nell'area antistante le soglie sono sistemati un sarcofago in tufo e le tombe dei bambini, alcune delle quali presentano il cuscino funebre.

La grande abside, costruita agli inizi del VI secolo con blocchetti di tufo, presenta un ampio arco in laterizi e un'unica finestra. All'estremità dell'emiciclo ricorrono due varchi arcuati; il sinistro consente l'accesso al piano terra del campanile, mentre l'altro (attualmente chiuso da una grata) conserva nell'intradosso un pregevole affresco della fine del X secolo raffigurante la Trinità eucaristica; per ammirare il dipinto, che è caratterizzato dalla singolare presenza di tre immagini di Cristo, bisogna percorrere la passerella metallica, esistente sul lato destro dell'abside. Nelle due arcate cieche visibili nella parte centrale dell'emiciclo rimangono significativi resti degli affreschi commissionati dal vescovo Leone III tra la fine del IX secolo e gli inizi del successivo. Decorata anche da eleganti stucchi settecenteschi, l'arcata destra è sormontata da un'immagine dell'Immacolata anch'essa risalente al XVIII secolo.

La parete che divide il presbiterio occidentale dall'edicola mosaicata, frutto di ripetuti interventi costruttivi, è decorata da vari strati di dipinti.

Procedendo da destra a sinistra, s'incontra per primo un affresco raffigurante la Vergine tra i santi Felice e Paolino. Databile tra X e XI secolo, il dipinto ha il fondo costituito da sette fasce orizzontali di larghezza e colore diversi. La Madonna, della quale si conserva parte del volto e dell'aureola, ha le braccia aperte con le mani all'altezza della testa, nella consueta posizione orante di origine paleocristiana. S. Felice, dal volto incorniciato dalla barba, indossa una veste gialla e con la mano sinistra regge il codice gemmato. Molto simile la raffigurazione di S. Paolino, sia per la posizione delle mani, sia per la decorazione del codice. Identificato dall'iscrizione parzialmente conservata a destra del volto, il santo indossa il pallio e presenta un'accentuata stempiatura.

Spostandoci verso sinistra, possiamo ammirare un raffinata rappresentazione di Cristo in Pietà.

Avvolto dal sudario che gli lascia scoperto il busto e sorretto da due angeli, Cristo indica con la mano destra la ferita al costato. Il dipinto, che va certamente datato alla fine del Quattrocento, è stato attribuito al pittore palermitano Riccardo Quartararo attivo a Napoli tra il 1491 e il 1494 circa.

Volgendo lo sguardo in alto, si riconosce una teoria di cinque santi. I due personaggi raffigurati a destra furono eseguiti nella seconda metà del XIII secolo, mentre gli altri tre nel secolo successivo.

Al di sotto di queste immagini è situata la tomba del vescovo Aureliano, vissuto tra VII e VIII secolo.

Presso la porta che immette all'esterno della basilica è, infine, visibile un affresco raffigurante S. Sebastiano (XV secolo).

d) edicola mosaicata

Attraverso due varchi, nei quali furono sepolti i vescovi Prisco († 523) e Musonio († 535), dal presbiterio si scende nell'edicola mosaicata, dove un recinto costituito da pilastrini e transenne di marmo delimita la tomba di S. Felice.

Il sepolcro in mattoni (fine III secolo) è parzialmente coperto da una lastra marmorea con l'immagine a rilievo del Buon Pastore e due fori circolari. Fu proprio la presenza della lastra che, all'atto della scoperta (26 maggio 1955), permise di identificare correttamente la tomba con il venerato sepolcro. Nel carme 21 Paolino di Nola descrive la lastra con i fori e racconta che i fedeli cospargevano di profumo di nardo la tomba e ne traevano unguenti resi salutari dal contatto, secondo l'usanza descritta anche dal contemporaneo Prudenzio. Al di sotto dei due fori si trova un vaso marmoreo che è appoggiato sui mattoni che chiudono il sepolcro.

Il frammento di transenna che sporge dal pavimento a sud della tomba individua un secondo recinto che delimitava la sepoltura di Paolino, morto nel 431 e deposto presso la tomba di S. Felice.

Fino al 1933 le tombe dei due santi erano coperte da un grande altare (costruito nel VI secolo e trasformato nell'VIII-IX) che la tradizione locale ricordava come ara veritatis (cioè altare della verità). È noto, infatti, che S. Agostino, nell'inviare dall'Africa a Nola un prete e un monaco che si accusavano reciprocamente per calunnie, definì la tomba di S. Felice uno dei luoghi sacri ove i falsi e gli spergiuri venivano smascherati.

A sud del recinto di transenne un vetro copre la soglia del piccolo mausoleo costruito, agli inizi del IV secolo, intorno ai sepolcri di S. Felice e dei vescovi Massimo e Quinto.

Nel pavimento dell'edicola sono visibili, grazie ad una serie di botole anch'esse protette da vetri, alcune tombe appartenenti ad altri due ambienti funerari eretti, pochi anni dopo, presso il venerato sepolcro.

I tre mausolei furono distrutti, dopo il 313, per costruire l'aula ad corpus. Dell'edificio, parzialmente demolito da Paolino agli inizi del V secolo, rimangono la parete sinistra (che separa il presbiterio dall'edicola mosaicata), le fondamenta dell'abside (all'esterno della basilica, dietro alla cappella Sancta Sanctorum) e l'ingresso. Quest'ultimo, costituito in origine da tre arcate

su pilastri decorate da affreschi, è parzialmente nascosto dalle colonne dell'edicola mosaicata e dai sepolcri marmorei dei vescovi Paolino iunior (destra) e Felice (sinistra), morti rispettivamente nel 442 e 484. Sull'arcata di destra si riconosce l'immagine di una città racchiusa da un tracciato poligonale di mura che, come indicano i dati stratigrafici, venne eseguita alla fine del IV secolo, prima che Paolino eseguisse nuovi restauri nell'aula ad corpus. L'abitato, inserito in un paesaggio, è reso con una prospettiva a volo di uccello: nelle mura, realizzate con grossi blocchi rettangolari, si aprono due porte affiancate, delimitate da altrettanti torri a pianta circolare. All'interno del circuito murario, parallelamente al tratto con le porte, una lunga galleria domina le piccole abitazioni con tetto a due falde.

Veniamo finalmente all'edicola mosaicata che fu costruita, tra il 484 e il 523, intorno alle tombe dei santi Felice e Paolino. La struttura, a pianta quadrangolare, presenta su ogni lato tre archi a tutto sesto in mattoni, sostenuti da colonne con basi e capitelli di spoglio. Nono- stante sia solo parzialmente conservato, il mosaico suscita un notevole fascino per gli effetti determinati dal sapiente accostamento di tessere in pasta vitrea colorata (rosso, arancio, marrone, verde, azzurro, blu) o impreziosita da una sottile lamina d'oro. In alto corre l'iscrizione in latino (erroneamente attribuita a Paolino) che illustra i lavori di ampliamento e abbellimento della basilica. La parete ovest (dietro alla tomba di S. Felice) presenta un elegante motivo a squame, su fondo oro, a differenza delle altre che sono decorate ciascuna da tre coppie di girali. Quelli esterni hanno origine presso le quattro palme visibili negli angoli, mentre i girali centrali, legati da nastri rossi, nascono da un cespo d'acanto (pareti nord e sud) oppure da un vaso a due anse (parete est, di fronte al sepolcro di S. Felice), al quale si abbeverano due splendidi pavoni affrontati. Pochi resti delle decorazioni si riconoscono all'esterno delle pareti est (palme e croci) e nord (tralci di vite con grossi grappoli), mentre negli intradossi si alternano motivi geometrici (squame bipartite, cerchi allacciati, reticoli di rombi o rettangoli) e vegetali.

Particolare attenzione merita l'arco, parzialmente murato, che si trova al centro della parete ovest (dietro alla tomba di S. Felice). Due preziose colonne in marmo d'Aquitania coronate da eleganti capitelli con le effigi dei santi Felice (sinistra) e Faustillo (destra) sostengono la tamponatura che in alto conserva resti del ritratto musivo di S. Felice (VIII-IX secolo). Nel muro furono infatti deposte alcune reliquie del santo, quando i Longobardi di Benevento violarono l'altare. Le due basi di colonna visibili al centro dell'edicola appartengono, invece, al colonnato (demolito negli anni Cinquanta del Novecento) che tra la fine del IX secolo e gli inizi del X divise la struttura in due parti, danneggiando seriamente il mosaico paleocristiano.

Due arcate, prive di mosaici, collegano l'edicola alla parete nord della basilica, dove tra VIII e IX secolo sorse la cappella Sancta Sanctorum. Costituita da un'ampia volta a botte, la struttura occupa l'arco centrale del triforium (inizi del V secolo) che immetteva nell'atrio della basilica nova. Sul lato destro della cappella, che conserva interessanti affreschi risalenti alla fine del XII secolo, sorge l'altare a blocco con una nicchia per reliquie.

Le superfici interne del sacello, delimitate a sud da una raffinata cornice con motivi vegetali e in basso dal velarium, sono articolate in quattro pannelli rettangolari. I due laterali sono caratterizzati ognuno dalla presenza di tre figure: a destra la Madonna in trono col Bambino tra due angeli e a sinistra tre santi; tra questi ultimi si riconosce S. Giovanni Evangelista.

Il riquadro sulla parete di fondo raffigura una scena molto affollata (forse una consacrazione o una traslazione), in cui ricorrono i volti di ventidue personaggi schierati in più file alle spalle di quattro soggetti, a figura intera, posti in primo piano. Al centro della volta, su fondo blu e giallo, è raffigurato Cristo Pantocratore avvolto nell'ampio mantello blu che copre gran parte della tunica rossa.

Oltrepassata l'edicola mosaicata, prima di entrare nei sotterranei della parrocchiale (dov’è ospitato l’antiquarium), sulla destra si nota l'arco rivestito di marmo, nel quale venne seppellito il vescovo Teodosio († 490). Nel piccolo spazio esistente a sinistra dell’arco sono visibili la soglia di un mausoleo funerario e una tomba.

e) navate e presbiterio orientale (antiquarium)

Le volte di fondazione della parrocchiale nascondono i resti delle navate e del presbiterio della basilica orientale che fu costruita, ad est del- l'aula ad corpus, intorno alla metà del IV secolo ed è stata più volte trasformata nei secoli, prima di essere quasi completamente demolita alla fine del Settecento.

In occasione del Giubileo del 2000, nella navata centrale e in quella destra, è

stato allestito l'antiquarium del complesso che accoglie reperti d'età romana, paleocristiana, medievale e postmedievale. Allo scopo di agevolare la visita, vengono descritti prima gli oggetti esposti e quindi i resti della basilica.

La sezione romana, oltre ad un mortaio in pietra con due anse, ospita pregiati reperti marmorei, tra cui un capitello corinzio e due rilievi con armi. Databili al primo trentennio del II secolo d.C., questi ultimi decoravano forse uno dei mausolei della necropoli.

Da uno degli edifici funerari proviene quasi certamente anche l'urna cineraria strigilata in marmo traslucido (I-II secolo d.C.) che nel XVII secolo venne reimpiegata come fonte battesimale della basilica di S. Felice.

Di significativo interesse sono la iscrizione con dedica all'imperatore Augusto e quella di Curiatius che nell'altomedioevo fu decorata sul retro con squame e gigli e trasformata in pluteo.

Di pregevole fattura è il sarcofago marmoreo con il mito di Endimione e Selene (III secolo d.C.). Sul retro si legge l'epigrafe dell'arcipresbitero Adeodato che fu sepolto nel sarcofago tra V e VI secolo; il testo è inquadrato sulla sinistra da un candelabro e da una colomba con l'oliva nel becco.

La sezione paleocristiana include sia reperti ceramici sia elementi marmorei di arredo liturgico. Tra i primi vanno notate una scodella con simboli cristiani e una lucerna con il candelabro ebraico a sette bracci.

Molto più nutrita e rappresentativa è la raccolta dei manufatti marmorei. Particolare attenzione merita un frammento di pluteo che da un lato reca un rilievo a pelte, mentre dall'altro un ornato a losanghe, secondo un motivo molto comune nel IV e V secolo. Sui listelli sono incise delle massime bibliche, analogamente a quanto si riscontra sui cancelli che delimitano le tombe dei santi Felice e Paolino.

Quanto mai interessante è il cratere in marmo con corpo carenato, piede ad anello e due anse verticali (solo parzialmente conservate) che corrisponde forse al cantharus fatto installare da Paolino di Nola nell'atrio della basilica nova. Nella stessa sezione è esposto un frammento di bacino di fontana in marmo lunense a forma di corolla. Sul luogo di rinvenimento non si hanno dati, ma la circostanza che il restauro condotto nel 2000 ha comportato la rimozione di uno spesso strato di fango rappreso sembra suggerire che il bacino fu danneggiato e sepolto dall'alluvione degli inizi del VI secolo. Potrebbe corrispondere ad una delle fontane che, nell'atrio del- la basilica nova, circondavano il cantharus.

Lungo la parete sinistra del sotterraneo è esposto un pilastrino in muratura che è decorato da eleganti affreschi. In origine era collocato sulla parete meridionale della basilica di S. Felice, in corrispondenza dell'edicola mosaicata. Il motivo decorativo mostra stringenti analogie con l’ornato degli intradossi del triforium dell’aula ad corpus.

Veniamo, dunque, ai numerosi reperti d'età alto e bassomedievale. Tra i primi vanno segnalati i manufatti ceramici trovati nel 1988 nelle tombe della basilica nova e in S. Tommaso. Si tratta di brocchette, databili tra VI e VII secolo, rivestite di ingobbio o decorate da bande rosse e talora graffite dopo la cottura.

Completamente decontestualizzata è purtroppo l'anfora decorata da bande rosse ondulate che ricorda un manufatto documentato a Benevento in contesti di VII-XI secolo.

Le cinque capselle lignee per reliquie provengono dall'altare sulla tomba di S. Felice. Ricavate da blocchi di legno tenero, scavati e lisciati solo all'esterno, presentano il corpo parallelepipedo e il coperchio scorrevole. L’esemplare più piccolo reca sul fondo i resti di un’iscrizione.

All'arredo liturgico della basilica di S. Felice appartiene il pluteo commissionato dal vescovo Leone III tra la fine del IX secolo e gli inizi del successivo. Lavorato ad intaglio con un motivo a pelte che include apici gigliati, il manufatto conserva gran parte della dedica del committente.

All'episcopato di Leone III vanno attribuiti, con ogni probabilità, anche il pluteo con i grifi alati e la lastra con bovino e leone. Secondo lo schema araldico, particolarmente diffuso in Campania, i grifi sono affrontati ai lati di un cantharus classicheggiante, dal quale spuntano due trifogli e l'albero della vita.

L'altra lastra, che venne tagliata ad arco nel XII secolo in rapporto al reimpiego nel pulpito della basilica di S. Felice, presenta a sinistra un bovino che bruca le foglie di un albero, mentre a destra un leone dalla folta criniera con la bocca semiaperta. All'epoca di Leone III si datano probabilmente anche i tre pilastrini appartenuti alla preziosa recinzione presbiteriale della basilica di S. Felice. Decorati da girali animati o da tralci con grappoli d'uva, sono opera probabilmente di una bottega napoletana, nutrita di cultura orientaleggiante, che ha lasciato tracce profonde nelle città vicine.

Tra i manufatti bassomedievali meritano particolare attenzione i resti del pulpito della basilica di S. Felice, eseguito nel XII secolo e smembrato alla fine del Settecento; rimangono un frammento della lastra marmorea con l'agnus Dei tra l'aquila e il leone (non più conservato perché il pezzo è stato asportato dai ladri nel 1974) e il rilievo con uccelli affrontati. Le due lastre sono assimilate da evidenti analogie nella resa del piumaggio, degli artigli e delle teste dei volatili, oltre che dall'utilizzo di inserti di materiale scuro per le pupille. Particolare attenzione merita il settore destro della lastra con gli uccelli, dove compare una cornice circolare costituita da palmette alternate a due personaggi maschili di ridotte dimensioni. Accomunati dalla resa dei capelli e dei baffi, i due soggetti indossano soltanto il mantello che è annodato sulla spalla destra. Il personaggio raffigurato a sinistra, quasi completamente coperto dal mantello, indica con la mano destra l'altro che, invece, si copre le pudenda con la mano destra. Si tratta evidentemente di una scena simbolica, forse collegata al tema della pudicizia.

Dall'area esterna al complesso basilicale proviene la bella croce in marmo (fine XV-inizi XVI secolo) raffigurante su un lato la Crocifissione e sull'altro la Resurrezione.

Una significativa campionatura della produzione ceramica bassomedievale è costituita da alcuni frammenti di dipinta a bande rosse, invetriata e protomaiolica.

La sezione postmedievale, allestita nell'ex-navata destra della basilica, si apre con l'iscrizione dedicatoria del vescovo di Nola Fabrizio Gallo (fine XVI secolo) e con l'acquasantiera marmorea commissionata nel 1604 dal curato di Cimitile Geronimo Sorbato.

Dall'abside occidentale della basilica di S. Felice proviene la cosiddetta cattedra lignea di S. Paolino. Essa venne fatta costruire, agli inizi del Settecento, dal marchese Gentile Albertini per proteggere una cattedra marmorea che è successivamente scomparsa.

È esposta anche una selezione di manufatti ceramici databili tra i secoli XVI e XIX. Si tratta per lo più di vasellame da mensa e di pentolame da fuoco. Al pavimento settecentesco della basilica di S. Felice appartengono le mattonelle maiolicate decorate con fiorone quadripetalo e rosa dei venti. Il frammento di rosario in osso e il crocifisso bronzeo (XVIII secolo) sono stati trovati nella navata sinistra della basilica, utilizzata come cimitero sino al 1838.

Ultimata la visita all'antiquarium, conviene adesso spostarsi attraverso il sotterraneo per ammirare i resti della basilica orientale. Presso l'ingresso, nel pavimento, sono visibili tre botole che consentono l'accesso a due distinti ossari.

Il cunicolo (attualmente chiuso al pubblico) esistente sul lato sinistro del sotterraneo immette nell'ex-navata sinistra, dove si aprono gli accessi agli ambienti conosciuti come 'carcere' e 'fornace' di S. Gennaro. Su di essi nel XVII secolo venne costruita una cappella dedicata al santo, poi demolita alla fine del Settecento. La porta del 'carcere' (situata a destra) è arricchita da un architrave retto da due colonne con capitelli ionici. Una colonna simile è murata presso l'ingresso alla 'fornace' (a sinistra), dov'è conservato un sarcofago marmoreo privo di decorazione che fu trovato alla fine del Seicento.

Sul fondo del sotterraneo si scorgono i ruderi dell'abside orientale della basilica, affrescata sul retro con motivi geometrici ad imitazione dell'opus sectile. Alle spalle dell'abside sono visibili i resti di due piccoli vani (probabilmente protesi e diaconico della basilica) e dell'ipogeo sepolcrale appartenuto ai principi Albertini. Oltre alla lastra tombale con lo stemma di questa nobile famiglia (1724), qui si può ammirare l'epigrafe funeraria di Tommaso Pacelli, vescovo di Bovino, morto a Cimitile nel 1780, mentre dalla sua diocesi si recava a Napoli.

Sul lato destro del sotterraneo è situato l'altare di S. Maria della Sanità che è attestato per la prima volta nel 1749, ma forse corrisponde all'altare di S. Maria di Valleverde menzionato da un documento del 1580. Sull'altare è dipinta la Vergine con il Bambino tra S. Francesco di Paola, S. Girolamo e altri santi vescovi e martiri. L'affresco, lacunoso nella parte inferiore sinistra, era originariamente articolato in sette pannelli. Impianto compositivo e stile consentono di assegnare il dipinto alla prima metà del XVI secolo o poco dopo. Alla fine del Settecento, in occasione della costruzione della parrocchiale, la cappella venne parzialmente inglobata nei piloni di fondazione del nuovo edificio. In quell'occasione a sinistra dell'altare venne dipinto un riquadro con angeli e anime del purgatorio, mentre a destra (in alto) un ex-voto con la data 1794.

Nella parete a destra dell’altare (in basso) fu murata l'epigrafe di Iusta (seconda metà del V secolo) che era venuta alla luce alla fine del Seicento al di sotto del pavimento della navata centrale. All'interno della sua tomba furono trovati lo scheletro integro, una moneta dell'imperatore Licinio (308-323) e, presso i piedi della defunta, una lamina di piombo con il chrismon e l'iscrizione Iusta virgo.

Poco oltre l'altare si trova un'apertura che, grazie ad alcuni gradini, immette nell'ex-navata destra della basilica, dove la parete di fondo e quella laterale conservano resti di affreschi. Il pessimo stato di conservazione permette di riconoscere che la zoccolatura era costituita da un tappeto di croci ad elica, delineate in nero su fondo rosso e giallo.

Inoltrandosi sul lato destro dell'ambiente e superata la passerella che scavalca un vano seminterrato (già mausoleo funerario) e una lunga fila di tombe (II-III secolo d.C.), si giunge nell'ex-cappella del Crocifisso. Qui fino alla fine del Settecento era conservato il crocifisso trecentesco, oggi sistemato nella parrocchiale. La vasca visibile sulla sinistra, sotto la finestra, venne realizzata negli anni Cinquanta del XX secolo per preparare la calce necessaria ai restauri. Oltrepassata nuovamente la passerella, sulla destra si accede alla cappella di S. Calionio.

Testo del prof. Carlo Ebanista.