CHIESA PREPOSITURALE 

PARROCCHIALE DI SAN FELICE IN PINCIS di Cimitile (Na)

La chiesa prepositurale di san Felice in Pincis è stata edificata tra la fine del '700 e gl'inizi dell'800 dal preposito Cipriano Rastelli su progetto dell'architetto napoletano Gaetano Barba. I lavori, finanziati dal principe di Cimitile Gaetano Albertini, iniziarono nel 1791 e comportarono la demolizione e l'adattamento di alcune strutture della basilica di san Felice; furono ultimati, dopo varie vicende, prima del 1806. I successori di Rastelli restaurarono più volte l'edificio dotandolo di nuova suppellettile. All'indomani del terremoto dell'80 la chiesa è rimasta chiusa fino al 1990. La facciata si compone di raffinate lesene con capitelli ionici, un grande arco e cornici modanate. L'interno, caratterizzato dall'alternanza di semicolonne e lesene con capitelli ionici, è ornato da cornici modanate, grandi archi, balaustre cieche ed eleganti festoni che riflettono lo stile neoclassico di fine '700. Il pavimento, in marmo bianco, ha sostituito quello antico in cotto, negli anni '50. La navata è coperta da un'ampia crociera sostenuta da quattro volte a botte.  

ORARI CELEBRAZIONI EUCARISTICHE

FERIALI: ore 18:00 (ora solare) - ore 19:00 (ora legale);
FESTIVI: ore 8:00 - 11:00 - 18:00 (ora solare) - 19:00 (ora legale).

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I Santi Patroni di Cimitile

Le poche notizie circa la sua esistenza ci vengono fornite da San Paolino di Nola nei suoi carmi natalizi, scritti dal 395 al 409, raccogliendo per iscritto la tradizione orale appresa nel territorio nolano.

Felice nacque a Nola nella seconda metà del III secolo, da una famiglia di origini orientale, il padre siro, trasferitosi in Italia per lavoro, dimorò a Nola, dove gli nacquero due figli: Felice e un altro lo chiamò col suo stesso nome, Ermia. I due fratelli, pur essendo nati dallo stesso sangue, mostrarono indole e tendenze diverse: Ermia si sentì attratto dal mestiere delle armi, Felice sentì nel cuore, la voce del Signore che lo chiamava ad una vita diversa. La giovinezza di Felice fu ricca di virtù e meriti e ben presto divenne sacerdote.

Le caratteristiche dell'apostolato di Felice si possono così sintetizzare: zelo, predicazione, aiuto ai poveri, vincolo filiale col proprio vescovo.

Divenne sacerdote e stretto collaboratore di Massimo, all'epoca vescovo di Nola. Tutto sembra procedere nella tranquillità e libertà, quando, la persecuzione, si abbatte insidiosa e feroce sui cristiani. Il vescovo Massimo, diffidando delle sue forze, si ritira sui monti vicini, dove soffre e prega per il suo gregge. Felice rimane solo, senza temere i persecutori: “Cristo è in lui a combattere per la verità”. Viene arrestato e condotto in carcere ma, mentre le catene gli avvolgono il corpo, Cristo viene in suo soccorso. Un angelo risplendente di luce gli appare, li invita ad alzarsi e lo conduce sui monti dove Massimo giace sfinito. Il santo sacerdote cerca di rianimarlo; il Signore gli offre un grappolo d'uva, che miracolosamente gli appare vicino. Il succo di pochi acini fa rinvenire il morente. Felice lo prende sulle spalle e con l'aiuto celeste lo conduce nella sua povera casa custodita da un'anziana domestica.

Felice è fatto ancora oggetto di odio ma il Signore lo salva sempre con interventi divini e straordinari. ora non facendolo riconoscere, ora nascondendolo dietro un improvviso terrapieno e una tela miracolosamente intessuta da un ragno. Felice trova, infine, rifugio in una vecchia cisterna dove è sfamato da una donna che, inconsapevolmente, ogni giorno gli porta del cibo.

Dopo, questa seconda persecuzione, nel 313, Felice ritorna, a Nola, tra i suoi fedeli che lo accolgono con gioia ed insieme stupore dopo la lunga assenza. Felice riprende il suo lavoro umile e silenzioso, alla morte del vescovo, tutto il popolo lo acclama vescovo ma, umile e semplice qual era, rinuncia all'episcopato, in favore del presbitero Quinto, trascorrendo il resto dei suoi giorni in povertà, accettando serenamente enormi sofferenze, tanto da meritare l'appellativo di "martire" pur senza aver versato il proprio sangue. Il 14 gennaio, di un anno a noi sconosciuto, Felice lascia vita terrena per incontrarsi con Cristo, nella corona dei santi.

È da escludere una datazione troppo antica come il I o II secolo dell'era cristiana. I resti archeologici del Complesso Basilicale fanno pensare con sufficiente certezza al III secolo. Paolino, venendo a Nola, trova un'antica tradizione già esistente intorno al venerato sepolcro. La vita di Felice, poi, deve porsi in relazione con una persecuzione prima irruente, poi sedata e, quindi, ripresa; al termine della persecuzione segue un decreto di restituzione dei beni confiscati ai cristiani.

Partendo da questi due punti possiamo dire: San Felice fu perseguitato sotto l'impero di Decio, che ebbe termine nel 251 e poi di Valeriano, fino al rescritto del 258. Tra le due persecuzioni c'è un periodo di calma, a cui Paolino fa esplicito riferimento.

Fanno parte di elaborazione sulla scorta della Bibbia i seguenti punti: Felice è oriundo dell'Oriente, la terra dei Patriarchi e dei Profeti; si consacra a Cristo lasciando ad Ermia, l'eredità paterna; è liberato dal carcere miracolosamente come san Pietro; i persecutori non riescono a catturarlo; Dio gli fa trovare un grappolo d'uva, per rianimare il morente vescovo Massimo; è dissetato come Elia per intervento straordinario di Dio.

Non mancano elaborazioni ascetiche e morali come il Cristo che combatte per lui, l'umiltà, la povertà, la generosità fino a dividere la mensa con i poveri.

Nonostante San Felice non sia stato ucciso, è stato riconosciuto come Martire dalla Chiesa, per le numerose sofferenze affrontate in vita. Il suo corpo è seppellito presso le Basiliche paleocristiane di Cimitile. La sua tomba fu’ denominata “Ara Veritatis”, perché gli si attribuiva particolare efficacia contro la falsa testimonianza.

Al santo patrono "Felice" vengono dedicati solenni festeggiamenti che richiamano una gran folla di persone. Il 5 gennaio inizio del novenario predicato: è caratterizzato una breve processione per il centro storico del paese a' sagliut'e san Felice che rievoca la salita della statua (situata nella basilica maggiore di San Felice in Pincis) in parrocchia. La sera del 13 gennaio i bambini di III, IV e V elementare cantano durante la celebrazione eucaristica in chiesa. Dopo la Messa serale, anche agli adulti hanno la possibilità di cantare l'inno di San Felice nelle basiliche paleocristiane dove ha inizio una fiaccolata che si conclude in parrocchia per la veglia.

Ma i festeggiamenti da tutti più attesi avvengono il 14 gennaio di ogni anno. Fin dal primo mattino i rintocchi delle campane annunciano il giorno di festa con grande emozione nel cuore del popolo cimitilese, già desto dalle ore 4.00 per le note gioiose della banda musicale che percorre le vie del paese, accompagnata dagli spari di petardi nella tradizionale "DIANA" in gergo detta a' rian’ che rievoca l'arrivo dei pellegrini da ogni parte della Campania e non solo. Alle 6.00 la prima messa annunciata dal suono dell'antica campana usata solo in questa occasione, alla messa delle 6.00 segue quella delle 7.00, delle 8.00 e quella delle 9.00 celebrata generalmente da un vescovo.

Verso le 10.00 tutto è pronto per processione che si avvia e si snoda per le strade del paese, tra la folla, mentre si innalzano le note di un inno cantato da bambini.

E la festa continua la prima domenica, dopo otto giorni dal 14, la cosiddetta "ottava". È un intero giorno che viene dedicato a San Felice portandolo in tutte le strade e vicoli dove hanno luogo spettacoli di fuochi pirotecnici che vengono sparati per salutare il Santo.

Paolino di Nola, ovvero Ponzio Anicio Meropio Paolino (Bordeaux, 355 – Nola, 22 giugno 431), è stato un vescovoitaliano, originario della Aquitania, venerato dalla Chiesa cattolica come santo. Fu vescovo di Nola nel V secolo. È considerato il patrono dei campanari napoletani, poiché a lui è attribuita, per convenzione, l'invenzione delle campane come oggetto utilizzato in ambito ecclesiastico.

Nato in un'illustre famiglia di senatori e consoli, era figlio del prefetto della Provincia d'Aquitania. Studiò legge e filosofia, e a quindici anni, quando il maestro si trasferì a Milano, aveva già completato gli studi letterari. A poco più di vent'anni era annoverato tra i seicento senatori. Nel 378, uscito di carica, gli spettava il governo di una provincia senatoriale e scelse la Campania. Anziché insediarsi a Capua preferì Nola, dove aveva alcuni possedimenti. A Cimitile, vicino a Nola, era venerato san Felice. Prima di tornare in Aquitania, secondo una cerimonia di tradizione pagana, Paolino si tagliò la barba e la consacrò a san Felice, reputato "martire", pur non avendo versato sangue, per come aveva accettato le sofferenze in vita. A Barcellona conobbe Therasia, donna ricca e bella, ma (diversamente da lui) cristiana e battezzata. Therasia divenne la sua consorte e lo guidò verso la conversione. Nel 389, a 35 anni circa, nella chiesa di Bordeaux, Paolino ricevette il battesimodal vescovo Delfino. Nel 392 dalla coppia nacque Celso, che morì appena otto giorni dopo la nascita. L'evento segnò Paolino per sempre e lo spinse ancora di più a rifugiarsi nella fede. Il suo percorso di conversione era completo.

Nel 393 Paolino si trovava a Barcellona e, durante una celebrazione liturgica del Natale, i fedeli invocarono: «Paolino sacerdote...!». Decise di farsi ordinare presbitero, secondo la massima: "Voce di popolo, voce di Dio". Dopo l'ordinazione, nel 394, partì per un viaggio in Italia dove conobbe sant'Ambrogio. Durante una sosta in Toscana Paolino e la moglie decisero di dedicarsi totalmente alla vita monastica. Egli decise di stabilirsi a Nola, dove aveva soggiornato da governatore della Campania e dove si trovava la tomba di san Felice, cui era particolarmente devoto. Fondò un cenobio maschile e uno femminile, che si distinsero per l'intensa vita di preghiera e l'assistenza ai poveri. Appena arrivato, si ammalò gravemente; guarì solo dopo lungo tempo. (Secondo la leggenda agiografica, la guarigione fu dovuta a un miracolo di san Felice). In seguito fece innalzare una basilica a san Felice, al posto del modesto santuario allora esistente, e attorno vi edificò una serie di chiostri ricchi di colonnati e fontane per accogliere le migliaia di pellegrini che ogni anno si recavano presso l'ara di san Felice. La moglie Therasia morì tra il 409 e il 414.

Il 24 agosto del 410 Alarico I, re dei Visigoti, entrò in Roma e la saccheggiò. Paolo, vescovo di Nola, morì in quell'anno, proprio quando Alarico era alle porte della città. Il popolo dei fedeli, con situazione analoga a quella di Barcellona, invocò: «Paolino Vescovo!», e di nuovo egli accettò la carica. Nola fu presa e devastata dai visigoti, e molti abitanti vennero fatti prigionieri. Paolino vendette caritatevolmente tutti i suoi averi, compresa la croce episcopale, per riscattare i prigionieri. Quando non ebbe più niente, offrì la propria persona agli invasori per riscattare l'unico figlio di una vedova. A 55 anni, passò dall'essere sacerdote a essere vescovo e poi schiavo nel giro di un anno. Giunto in Africa e venduto come schiavo, divenne il giardiniere del proprio padrone. Un giorno Paolino profetizzò l'imminente morte del re al suo padrone e, condotto innanzi al regnante, questi ne ebbe paura: in un suo sogno, Paolino presiedeva un tribunale di giudici contro di lui. Interrogatolo e scoperta la sua carica di vescovo, il padrone gli promise di concedergli qualsiasi cosa avesse chiesto; Paolino rispose che non desiderava altro che la liberazione sua e di tutti i nolani con lui. Così avvenne, e questi tornarono al loro paese, accompagnati da navi cariche di grano. Sulla spiaggia di Torre Annunziata fu accolto assieme ai prigionieri riscattati dai fedeli nolani che portavano e sventolavano mazzi di fiori. Ancor oggi sopravvive la tradizione dell'accoglienza: la prima domenica dopo il 22 giugno, a Nola si tiene la Festa dei Gigli.

Paolino mantenne rapporti epistolari con i più noti religiosi del tempo, in particolare con Ambrogio, Gerolamo e Agostino. Il suo epistolario conta 49 lettere.

Scrisse inoltre i Carmina, una delle più alte testimonianze della poesia cristiana dei primi secoli. Ce ne sono pervenuti 33, di cui 14 carmi natalizi. Ne compose uno ogni anno durante la sua permanenza a Nola, per il 14 gennaio, giorno del martirio di san Felice. Nel periodo di formazione e di studi compose vari poemetti, che non ci sono pervenuti.

Il Martirologio romano fissa la memoria liturgica il 22 giugno.

Da una decina di anni (vd. Iannicelli) si è fatta strada, un po' timidamente, una linea di indagine che ha voluto privilegiare gli aspetti teologici dell'opera di Paolino. Si è anche tentato di introdurre - accanto all'affermazione che Paolino comunque non sarebbe un teologo in senso stretto, cioè speculativo-dogmatico - una nuova definizione di teologia che si arricchirebbe di elementi esperienziali, ascetici, spirituali, simbolici. Questa linea è favorita da una nuova ricerca attualizzante e ridefinitoria del concetto di “teologia” e di “teologo”, che ‘a fortiori' può essere estesa non solo a Paolino di Nola ma anche ad altri Padri. Superando il livello retorico di talune dichiarazioni di inefficacia, di incompetenza, di ignoranza, Paolino utilizza di fatto alcuni procedimenti tipici del fare teologia. Non sembra neppure che la sua “avversione” alla filosofia possa pregiudicare lo scandaglio teologico, ma anzi è affermazione più netta della superiorità del cristianesimo, del ragionare su Dio rispetto al mondo pagano. È interessante quanto scrive Giuseppe Morelli prima delle attualizzazioni odierne e senza le acquisizioni moderne (Joseph Morelli, De S. Paulini Nolani Doctrina Christologica, tesi di dottorato in Teologia, Pontificia Facultas Theologica Neapolitana apud Majus Seminarium, ex Typographica Officina Forense, Neapoli, MCMXLV, pp. 16–17), a cui va dato merito di aver focalizzato l'attenzione su un tema non secondario per uno scrittore cristiano: Sed, his non ostantibus, rite adfirmare possumus Nostrum, quamvis non semper theoreticam theologiam, sempre tamen cordis theologiam scribere. Et ipsae quaestiones disceptationesque dogmaticae, quae huc illuc notantur, minime suavitatem animi Paulini perturbant; neque impediunt quominus Noster elegans maneat scriptor, qui diligenter formam curet. Remanet igitur poeta, sed poeta theologus. Neque hoc in carminibus tantum apparet ac proinde Paulini epistolae dissimiles sunt Hieronymi et Augustini epistolis in quibus ardens et fervens fides quinti saeculi scriptorium pulsat, in quibus quaestiones subtiles urgent et obscurae, explicationesque abstrusae theologiae alternis vicibus agunt disceptationibus dogmaticis contra haereticos et schismata.